

AZIONE GIOVANI
FEDERAZIONE PROVINCIALE DI PESARO E URBINO
PERSONAGGI– 1
Sergio Ramelli

Perché parlare ancora di Sergio Ramelli? Questa sera deve essere una commemorazione?
Meno di un mese fa, il 4 aprile, il Corriere della Sera titolava:
Milano non può dimenticare Ramelli: polemica al Carducci
La Provincia: il giovane di destra ucciso nel ’75 avrà un’aula. Cortiana: no alla lottizzazione dei morti. Nuovo sit in al Carducci.
Si parla di una targa da attaccare per commemorarlo in questa scuola: vengono preparati sit in dei collettivi, con amabili partecipazione dei professori, perché "una scuola non può diventare un cimitero"; per inciso, due anni prima era stata intitolato a Claudio Varalli una scuola, senza alcuna protesta.
Claudio Varalli fu parte attiva di un'aggressione lanciata in centro a Milano nella primavera del 1975 da un gruppo numeroso di estremisti di sinistra contro un gruppo molto più sparuto di estremisti dell'altra sponda... Questi ultimi, davanti ad un'evidente inferiorità numerica che preannunciava botte a non finire decisero di tagliare la corda, tranne uno, tale Antonio Braggion, che si trovava ancora a vivere i postumi di un infortunio e, non avendo la possibilità di correre, non potè far altro che rifugiarsi nella sua macchina...
Il gruppo di estremisti avversari iniziò allora a percuotere l'automobile con martelli, chiavi inglesi ed altre armi analoghe... volevano uccidere, o comunque accettavano sicuramente la morte della loro vittima come conseguenza della loro azione... Braggion non potè far altro che estrarre la pistola dal cassetto portaoggetti e sparare... un colpo raggiunse uno degli aggressori, appunto Claudio Varalli, che morì poche ore dopo all'ospedale...
Braggion fu successivamente condannato per eccesso di legittima difesa... oggi è completamente riabilitato e fa l'avvocato a Milano...
Una scuola porta il nome di questo signor Claudio Varalli. Ma non un'aula per Sergio Ramelli.
Chi è Ramelli?
"Il 13 marzo 1975, verso le ore 13, Ramelli Sergio residente a Milano in via Amadeo 40, stava appoggiando il motorino poco oltre l'angolo con via Paladini nei pressi della sua abitazione. Veniva aggredito da alcuni giovani armati di chiavi inglesi: il ragazzo, dopo aver tentato disperatamente di difendersi proteggendosi il capo con le mani ed urlando, veniva colpito più volte e lasciato a terra esamine. Alcuni passanti lo soccorrevano e veniva ricoverato al reparto Beretta del policlinico per trauma cranico (più esattamente ampie fratture con affondamento di vasti frammenti), ferita lacero contusa del cuoio capelluto e stato comatoso. Nelle settimane successive alternava a lunghi periodi di incoscienza brevi tratti di lucidità e decedeva il 29 aprile 1975" (dagli atti del Processo)
Come esempio di informazione assolutamente distorta abbiamo il trafiletto dell'Avvenire, la cui lettura, oggi, fa veramente venire i brividi in quanto mostra il tipo di rapporti che dovevano sussistere tra certi spezzoni del giornalismo e l'associazione che decise ed eseguì l'aggressione, Avanguardia Operaia: nell'articolo si parla di Sergio Ramelli come di un "simpatizzante per un movimento neofascista e già noto estremista" (!). L'ignoto estensore dell'articolo arriva a scrivere che Sergio, nella sua scuola "si era particolarmente distinto per imprese di marca fascista. Proprio in seguito a questi episodi era stato espulso dalla scuola" (!!!). Sergio Ramelli, alla sua scuola aveva in realtà fatto un solo atto politico: parlare ed esprimere le sue opinioni; non era stato "espulso" dalla scuola, ma piuttosto perseguitato e minacciato a tal punto dai compagni che la famiglia aveva ritenuto opportuno iscriverlo a un'altro istituto. C'era stato in effetti un "processo popolare" in cui Ramelli era stato espulso, ma tale "processo" era stato esso stesso un atto di violenza illegale: al contrario, l'articolo dell'Avvenire lascia intendere che Sergio Ramelli era stato espulso dalla scuola con un provvedimento legittimo delle autorità scolastiche. Quando, con la morte di Sergio, il suo caso diventerà di rilevanza nazionale ed emergerà la verità L'Avvenire correggerà, almeno in parte, queste infamie.
Da "L'Avvenire", 14/3/1975
A colpi di spranga a Milano
Aggrediti due fascisti
Uno è in fin di vita all'ospedale
Altri due gravi episodi di violenza politica ieri a Milano. Un giovane di estrema destra è stato aggredito e picchiato a colpi di spranghe e si trova ora ricoverato in fin di vita al policlinico di via Sforza. Un altro neofascista è stato aggredito nei pressi dell'Università Bocconi, ma le sue condizioni non sono gravi. Il primo si chiama Sergio Ramelli, diciannovenne, abitante in via Amadeo 50, simpatizzante per un movimento neofascista e già noto estremista. Poco prima delle 13 di ieri, mentre tornava a casa da scuola, è stato avvicinato in via Paladini da cinque o sei giovani aderenti a un movimento di opposta fazione politica. Gli aggressori, tutti armati di mazze e spranghe di ferro hanno circondato il Ramelli e lo hanno selvaggiamente picchiato, abbandonandolo poi sul marciapiede. Soccorso da alcuni passanti, il giovane neofascista è stato accompagnato da un'autoambulanza della Croce di S.Rita all'ospedale Fatebenefratelli. Qui i medici lo hanno immediatamente sottoposto ad un intervento chirurgico alla volta cranica completamente fracassata. La prognosi è ovviamente riservata.
Sergio Ramelli aveva frequentato fino a qualche tempo fa l'istituto Molinari dove si era particolarmente distinto in imprese di marca fascista. Proprio in seguito a questi episodi era stato espulso dalla scuola e, da circa un mese risulta iscritto in un istituto privato.
Aldo Maletto, 22 anni, abitante a Varese in via Cavour è stato invece aggredito ieri mattina nei pressi della Bocconi. Trasportato al Fatebenefratelli è stato giudicato guaribile in 5 giorni.
NOTA
Questo è un archivio raccolto a puro titolo di documentazione generale. L'articolo su riportato è un documento importante in quanto consente di farsi un'idea di come parte della stampa dette risalto all'aggressione a Sergio Ramelli.
E' prassi comune, in questo archivio, limitarci a riportare i documenti senza alcun tipo di commento. Tuttavia è così ampia e grave la messe di informazioni false e tendenziose presenti in questo articolo che non si può fare a meno di offrire alcune altre informazioni, a beneficio di coloro che, capitando qua per caso, potrebbero farsi un'idea del tutto errata del caso Ramelli. E' opportuno ricordare che:
- Sergio Ramelli non era simpatizzante di un "movimento neofascista", ma membro di un partito politico nel quale erano entrati alcuni padri della Costituzione antifascista.
- Sergio Ramelli non era un "noto estremista": tutti lo consideravano un ragazzo mite.
- Sergio Ramelli non si era mai distinto, nella sua scuola, per "imprese di marca fascista": gli stessi avversari politici che frequentavano la sua scuola, richiesti di precisare le loro accuse contro Sergio, non seppero trovare altra evidenza se non il fatto che "era stato visto in motorino con un noto fascista"
- Sergio Ramelli non era stato espulso da scuola secondo un procedimento legale: al contrario era stato più volte picchiato e minacciato in classe: infine era stato sottoposto a un processo "popolare", a scuola, dai suoi stessi compagni e da alcuni tra i professori che capeggiavano la contestazione. I genitori, quindi, per ragioni comprensibili, l'avevano fatto trasferire.
- La motivazione che aveva portato Avanguardia Operaia ad organizzare il processo popolare contro Sergio Ramelli non era costituita da comportamenti di Sergio, quanto piuttosto dal fatto che Sergio aveva scritto un tema in cui esprimeva valutazioni personali sulle Brigate Rosse.
Vale la pena di considerare che l'unica fonte possibile per informazioni distorte come quelle presenti sull'articolo in questione non poteva essere che l'organizzazione che assassinò Sergio, Avanguardia Operaia. Quando Sergio Ramelli morirà L'Avvenire cercherà, in qualche modo, di rimediare, con un articolo di Paolo Farneti (che tuttavia, con una trascuratezza che difficilmente può apparire casuale insiste a definire Sergio un "extraparlamentare") e uno di Zibetti.
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Con la morte di Sergio aumenta decisamente l'interesse dei media; aumentano gli interventi e i maggiori quotidiani italiani si occupano del caso: non solo, molte autorità pubbliche e politiche sentono il bisogno di esternare delle dichiarazioni e i messaggi di cordoglio vengono riportati dai quotidiani.
Fa una strana impressione leggere, oggi, la gran parte di questi interventi: ci si imbatte spesso in dichiarazioni che hanno la forma seguente: "Condanniamo tutte le forme di violenza - e quindi, sottinteso, anche questa!"; il che è piuttosto ambiguo. Pochi sentono il bisogno di raccontare la vita d'inferno che Sergio Ramelli aveva dovuto sopportare; quasi nessuno informa del fatto che era stato perseguitato per mesi e mesi a scuola e che la denuncia che egli aveva fatto per le minacce e le percosse era caduta nel vuoto. Che impressione poteva fare, per la famiglia, ricevere lettere di cordoglio dalle più alte cariche dello stato - che al funerale non si fecero ovviamente vive - quando quelle cariche non avevano fatto nulla per difendere Sergio e, con la loro assenza al funerale, aumentavano l'isolamento e la solitudine per altri ragazzi come Sergio e si rendevano corresponsabili di altre vittime? Leggere per credere: molti giornalisti fanno lunghi discorsi, si lanciano in meditazioni ardite per arrivare infine, al termine di lunghi percorsi intellettuali, a concludere con il principio che, se anche un ragazzo è di destra non è giusto ammazzarlo... Come se, per arrivare a questa sottigliezza metafisica, ci volesse impegno... riletti oggi queste dichiarazioni fanno spavento, anche quando sono scritte con tutta la buona volontà di arrivare veramente a una pacificazione e a una cessazione della violenza.
Va detto, a parziale scusante che il clima non era facile e che già stava cominciando la prassi di gambizzare (o peggio) i giornalisti non allineati o comunque scomodi. Certi atteggiamenti possono essere scusati a causa del clima di paura. Ma alcune deliberate falsificazioni e denigrazioni non possono godere di giustificazione alcuna.
Per comprendere appieno la situazione bisogna ricordare che Sergio Ramelli era membro di un partito, il MSI-DN, che aveva in parlamento una forte rappresentanza (circa l'8%, ovvero oltre 4 milioni di italiani). L'MSI-DN era nato da poco, in seguito alla cosiddetta "svolta" del X congresso del MSI in cui si era deciso di lasciar perdere ogni atteggiamento nostalgicista (Almirante disse: "Il nostro passato si chiama MSI") e in tale partito erano confluiti personaggi lontanissimi dal fascismo - anche alcuni tra i padri della Costituzione Repubblicana Antifascista ! - . Non c'è dubbio che molte ambiguità permanessero ancora e che il rapporto con il fascismo non potesse dirsi risolto; tuttavia la nascita del MSI-DN segnò un momento assai particolare nella storia del nostro paese e molti giovani entrarono nel nuovo partito con il fine specifico di testimoniare la propria dissidenza rispetto a un clima generalizzato in cui essere comunisti era la norma e la regola. Non si trattava, propriamente, di proclamare un atteggiamento "anticomunista"; come osserva giustamente Nino Nutrizio nell'articolo sopra riportato i giovani come Sergio Ramelli erano accusati di non-comunismo, più che di anti comunismo: troppo forte era il clima di consenso al marxismo per poter ipotizzare altro che una semplice dissidenza rispetto a una linea politica che era divenuta unanimità consenziente.
Fatta questa premessa non si può che stigmatizzare l'atteggiamento tenuto da certi quotidiani, come ad esempio La Stampa, che definisce Sergio "neofascista" (!) e "estremista di destra molto noto" (!!!): non è chiaro a chi fosse noto, dato che lo stesso estensore dell'articolo ammette che l'unica accusa che gli era stata mossa era di "affissione abusiva di manifesti"... Peraltro La Stampa sembra ignorare l'esistenza del MSI-DN: insiste a chiamare Ramelli "militante del msi" e Almirante "segretario del msi"; per comprendere quanto questo atteggiamento sia politicamente scorretto si pensi a quello che potrebbe essere la nostra reazione se leggessimo, oggi, sulla Stampa, che "Fassino é segretario del Partito Comunista Italiano"!!! In certi altri casi la denigrazione tocca il ridicolo: sulle pagine de l'Avvenire Paolo Farneti, definisce Sergio Ramelli "giovane extraparlamentare di destra"(!) e con ciò sembra ignorare che l'MSI-DN aveva una ricchissima rappresentanza parlamentare. Ma è possibile che Farneti ignorasse questo fatto, che tutti in Italia conoscevano? E se non lo ignorava, come è ovvio, perché definire "extraparlamentari" i suoi aderenti? perché chiamare "gruppuscolo" un partito che - comunque lo si voglia giudicare - rappresentava 4 milioni di italiani?
Questo atteggiamento ambiguo e poco corretto caratterizza gran parte di quella che, allora, si chiamava "la stampa borghese" (con la nobile eccezione del Corriere della Sera, che seppe offrire un'analisi corretta e seria) e, di fronte ad essa c'è senza dubbio da preferire la condanna dell'assassinio che, con maggiore onestà, offre l'Unità, allora quotidiano del Partito Comunista Italiano.
Particolarmente sgradevole è il trattamento che la maggior parte dei giornali riserva alla questione del funerale che, come è noto, fu proibito: la questura, per ragioni di ordine pubblico (!!!) impedì che venisse fatto qualsiasi forma di corteo funebre, e la bara fu portata in Chiesa in un furgone chiuso, scortato da due auto della polizia.
Ebbene, la triste verità è che la maggior parte dei giornali omette di dare informazioni al riguardo: le uniche eccezioni sono Il Mattino, che parla a chiare lettere della proibizione, L'Avvenire, che accenna a qualche tensione e rivela che, per impedire il funerale, erano stati allertati DUE BATTAGLIONI DI CARABINIERI (il che la dice lunga) e il Corriere della Sera che racconta come, nell'occasione, la polizia fossa arrivata persino a fermare l'indignato Consigliere Comunale Staiti. Infine il Candido, che offre una dettagliata descrizione dello scandaloso cordone di polizia utilizzato per minacciare di arresto gli amici e le amiche di Sergio. Il Candido affida la descrizione della giornata alla prestigiosa firma di Leo Siegel.
Ramelli, un morto che fa paura
A ridosso dell'obitorio, uno schieramento incredibile di polizia in perfetto assetto da guerriglia: caschi con la visiera abbassata, manganelli, scudi di plastica, fucili. I funzionari della questura milanese hanno un ordine ben preciso: questo funerale non s'ha da fare. Non crediamo di peccare di ottimismo se diciamo che tra loro c'è chi, in quel momento, si vergogna. Non dev'essere gradevole, minacciare di arresto uomini e donne, giovani e adolescenti che escono dalla camera ardente con il volto rigato dalle lacrime.
La cassa è ancora aperta, Sergio Ramelli è vegliato sino all'ultimo dai parenti e dai coetanei del Fronte e del Fuan. Ha la testa bendata sino alle sopracciglia, il volto tirato e sofferto: i 49 giorni di atroce agonia hanno lasciato il segno. Qualcuno dice che è irriconoscibile.
La stampa del regime ha fatto l'impossibile per evitare un cordoglio di massa attorno a questo ragazzo. Notizie distorte, contraddittorie, orari sballati, dichiarazioni inventate di sana pianta ed attribuite ai genitori: un guazzabuglio artificiosamente creato per tenere la gente lontana dalla mesta cerimonia. I funzionari di PS hanno i nervi tesi: fermano il consigliere comunale missino Staiti, fermano altrisconosciuti, spintonano bruscamente e minacciano a sua volta di arresto un prete che osa protestare. Qualcuno cerca l'incidente a tutti i costi per trasformare questo pellegrinaggio in una rissa. La sporca speculazione elettorale non si ferma neppure davanti a un ragazzo diciannovenne assassinato nel modo barbaro che sappiamo. In questa Italia culla del cattolicesimo, guidata da trent'anni da un partito che ha fatto della croce un volgare simbolo di potere si discriminano anche i morti. C'é chi ha diritto al corteo in piazza del Duomo e chi non ha neppure diritto a un normale funerale dall'obitorio alla chiesa.
"E' uno schifo", protesta qualcuno "cose del genere non sono avvenute neppure per Jan Palak a Praga"; "Non è questa l'Italia per la quale ho combattuto", gli fa eco un religioso che esibisce il fazzoletto azzurro dei Volontari della Libertà "Questa non è un'Italia né libera né democratica". Poiché la gente continua ad arrivare, poiché i marciapiedi nereggiano ormai di folla, c'é un tentativo di far sparire anzitempo la salma del ragazzo. Dovrebbe lasciare la camera ardente alle 15.15, ma si vogliono stringere i tempi, fare uscire alla chetichella questo morto scomodo. Vi si oppongono, indignati, il fratello e gli zii, invitati a firmare il visto in assenza dei genitori. Nessuno firma.
Gli animi, attorno all'obitorio, si scaldano. Un fotografo si permette di rivolgere l'obiettivo verso alcuni poliziotti: gli saltano addosso, e salva a stento macchina e rullino. In compenso, dall'adiacente università c'è chi con il volto coperto da un fazzoletto rosso mitraglia indisturbato con teleobbiettivi la gente che sosta sul piazzale. Serviranno ad ingrossare gli schedari dei guerriglieri comunisti e a organizzare nuove spedizioni punitive del tipo di quella che ha assassinato Sergio Ramelli. C'è chi vorrebbe reagire, visto che la polizia non fa una piega, ma l'autocontrollo prevale. Non bisogna cadere nel gioco della provocazione, non si deve offrire il destro agli avvoltoi della speculazione. "Per noi il funerale è un corteo non autorizzato", ribadisce il funzionario della questura "e questa è un'adunata sediziosa. O la sciogliete oppure siamo costretti a caricare. Abbiamo degli ordini precisi, e dobbiamo farli rispettare, è inutile che vi mettiate a discutere con noi". Senatori, deputati, dirigenti federali e giovanili fanno opera di moderazione, tentano di spegnere la legittima, comune esasperazione. Almeno per rispetto ai genitori di Sergio, non si può trasformare l'obitorio in un campo di battaglia.
Così la gente si avvia alla spicciolata verso la chiesa distante circa un chilometro. Le decine e decine di corone, vengono trasportate da gruppi di giovani. I negozi, lungo il percorso, hanno le saracinesche abbassate in segno di lutto. I proprietari, i commessi, sostano sui marciapiedi. Attendono, illusi, il passaggio del corteo funebre. Hanno dei fiori in mano, ma non potranno gettarli sulla bara. Volenterosi spiegano cosa sarebbe accaduto se ci si fosse permessi di fare un funerale "non autorizzato" e il numero degli increduli sovrasta quello degli indignati.
Quasi tutti, allora, si trasferiscono sul sagrato della chiesa, dove Sergio Ramelli arriverà a bordo di un'auto delle pompe funebri. Tre quarti del vasto sagrato sono occupati da giovani e giovanissimi, da ragazzine, sono facce pulite assolutamente nuove, estranee alla politica: i coetanei di un intero quartiere si sono radunati per porgergli l'estremo saluto. Ci sono ex-compagni di scuola dello stesso Molinari, amici del bar, compagni della squadra di calcio in cui Sergio giocava con buon profitto. Sul verde delle aiuole, sotto un sole già estivo, tutte quelle magliette colorate, quei jeans suggerirebbero l'idea di un festival giovanile. Invece è l'epilogo dell'ultimo viaggio milanese di Sergio Ramelli.
Al passaggio della bara, portata a braccio negli ultimi metri da Almirante e Servello, qualcuno applaude, qualcuno getta dei fiori, qualcuno piange. Le navate della chiesa sono gremite. Sui muri esterni, allineate, le corone di fiori, a decine. C'è anche quella del presidente della Repubblica. In mattinata un fiorista l'aveva scaricata in via Amadeo 40, sotto la casa di Sergio. Era partita per ultima, perché invano si erano attesi i tradizionali corazzieri o i meno tradizionali vigili urbani. Visto che non arrivava nessuno, due ragazzi avevano provveduto al trasporto.
Dopo la funzione religiosa, dopo la breve orazione funebre di Almirante, l'ultimissimo viaggio per Lodi, dove un centinaio di ragazzi si unisce altre centinaia di giovani provenienti da Milano. Una delle tante corone, finisce aventi metri dalla tomba di Sergio, a ridosso di una croce senza fotografia e pressoché anonima. Sotto, riposano le spoglie di Giancarlo Esposti, un giovane che, in buona fede, aveva scelto una strada sbagliata e quando se ne accorse era ormai troppo tardi.
Leo Siegel
La maggior parte dei giornali descrive invece un clima idilliaco e sostiene che, per volontà della famiglia, i funerali si svolgono in forma privata; alcuni articoli farneticano, addirittura, di un "perdono" che la famiglia Ramelli avrebbe già concesso agli assassini. Si può aver riprova di quanto fossero false queste dichiarazioni leggendo, nelle pagine relative al processo, la reazione che la mamma di Sergio ebbe nei confronti della richiesta di perdono fatta dagli assassini 12 anni dopo. In effetti alcuni giornalisti ammettono che queste cose le hanno solo sentite dire, che non hanno intervistato i genitori, ma che tuttavia non dubitano che le cose stiano così. E' con un certo imbarazzo che vien fatto da ricordare che un giornale, se vuol essere qualcosa di diverso da un pettegolezzo da parrucchiere, dovrebbe accertarsi delle informazioni che pubblica.
La questione della morte e del funerale di Sergio Ramelli è certo una tra le più odiose pagine della storia della Repubblica. Il modo con cui gran parte della stampa la descrisse costituisce a sua volta una pagina vergognosa per il giornalismo italiano. Dall'Avvenire del 17 marzo 1987:
Manifestazione a piazza Fontana
DP insiste: "Quella era democrazia"
MILANO. (P. Luc.) I timori si sono rivelati infondati. Milano ha ripudiato, anzi ha dimenticato gli anni di piombo che hanno insanguinato le sue vie ed i suoi giorni. Ieri Democrazia Proletaria in occasione dell'apertura del processo 'Ramelli Porto di Classe" ha organizzato in Piazza Fontana un "presidio antifascista". Per tutta la mattinata un centinaio di persone hanno sostato davanti alla sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura mentre un corteo di appartenenti al Movimento sociale si è recato davanti alla casa di Ramelli per commemorare la vittima delle "spranghe" di Avanguardia operaia.Una coincidenza che avrebbe dovuto far salire la tensione della città oltre i limiti abituali, che avrebbe potuto riportarla in pieno clima da "anni bui", e che invece ha lasciato del tutto indifferenti i milanesi.
In Piazza Fontana Dp ha allestito una mostra fotografica degli eventi che hanno segnato la storia milanese dal '68 ad oggi: la contestazione studentesca, gli attentati, gli omicidi rossi e neri, i processi. Come presentazione poche parole: Dp rivendica l'eredità del '68, i suoi contenuti, i suoi ideali, le sue lotte ed è pronta a confrontarsi su tali basi con tutti i cittadini democratici. Gli stessi cittadini che ieri sono passati ed hanno osservato distrattamente quella mostra fotografica che pare abbia scavato ben poco nella memoria.
Qualcuno, tentando di ricordare, è arrivato vicino alla soluzione del "quiz", mancandolo d'un soffio. "Deve essere l'anniversario dell'omicidio Ramelli", ha commentato un passante per nulla interessato. Poi alla cronaca non sono rimasti che i poliziotti agli angoli della piazza, le macchine bianche della Digos, gli altoparlanti che hanno gracchiato fino alle 11,45 intonando canzoni di circostanza.
In un volantino Democrazia Proletaria ha ribadito ti proprio impegno affinché il processo appena iniziato possa tenersi in un clima privo di condizionamenti e pressioni, a garanzia di uno svolgimento giusto e non vendicativo, definendo i fatti degli anni 70 "episodi che possono essere inquadrati solo nelle condizioni di una durissima battaglia politica e sociale che contribuì a far vivere la democrazia in Italia".
Straordinariamente efficace è la descrizione che al processo il Pubblico Ministero fa degli assassini, militanti di Avanguardia Operaia: Giovani vigliacchi che agivano nel nome di chissa' quali principi. Giovani la cui testa non ragionava più perche' un giorno decisero di conferirla all'organizzazione che pensava e decideva per loro. E quel giorno l'organizzazione aveva deciso: bisognava dare una "lezione" ad un fascista. Un'aggressione scientificamente studiata: gli appostamenti, le fotografie, grazie alle quali gli assassini riconosceranno il loro obiettivo, le chiavi inglesi. Non era diverso dagli altri ragazzi, Sergio. Una mattina a scuola, gli insulti e le angherie dei comunisti, la fidanzata, Flavia. E l'orario di ritorno a casa, sempre puntuale. Ma il 13 marzo non farà neanche in tempo a legare il motorino. Cadde riverso in una pozza di sangue sotto i colpi dell'"antifascismo militante". "10, 100, 1000 Ramelli, con una riga rossa tra i capelli", scrivevano per le vie di Milano i paladini della liberta', non ancora sazi di sangue e intenti a spargere ancora violenza in quella maledetta Milano.A Sergio Ramelli non furono consentiti neanche normali funerali: fu proibito alla famiglia di portare il corpo a casa, e all'obitorio era presente un'incredibile schieramento di polizia in assetto da guerriglia: "per noi il funerale e' un corteo non autorizzato (...) questa e' un'adunata sediziosa, o la sciogliete o siamo costretti a caricare". Questa l'Italia democratica anni '70. Per assicurare alla giustizia gli assassini di Sergio Ramelli ci vollero anni, per molti altri giustizia non è mai stata fatta. Una cosa è certa: ad armare la mano dei carnefici "fu quella spietata ideologia che in Italia aveva -ed ha- importanti complicità, potenti connivenze e forti leve di potere. Ecco perché questa è una storia che fa ancora paura". Oggi i suoi assassini Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo (esecutori materiali, perche il commando era formato da 10 teppisti) sono in libertà e si aggirano tra noi. Tutti "nobili" e stimati professionisti: chi medico, chi avvocato tutta gente benestante che, in alcuni casi,continua a fare politica indisturbatamente (Edo Ronchi, Saverio Ferrari
tutti ex-avanguardia operaia).